Papa_in_BeninAfricae Munus: il compito dell’Africa

Ritorna ancora una volta il tradizionale inizio in latino di un Documento della Chiesa Cattolica. Ebbene, che significa ‘munus’? Esso ha un duplice significato: quello di impegno, compito ma ha anche quello di  dono, offerta … Armonizzandoli si direbbe che il dono è un riconoscimento del compito assolto oppure, se il dono precede, è l’impegno a valorizzarlo.

In questo caso l’Africa Cattolica si accolla l’impegno – ma è anche un dono - di essere “a servizio della Riconciliazione, Giustizia e Pace” in questo Continente che vive ancora in un periodo di transizione, ma anche di contraddizioni. A volte si pensa che l’Africa non abbia adeguato peso specifico sia socialmente, con il suo miliardo circa di povera gente e le varie problematiche irrisolte,  sia religiosamente: i Cattolici sono una minoranza con circa 160 milioni di fedeli (il 15% della popolazione). Il Papa Benedetto XVI, durante la visita pastorale nel Benin dal 18 al 20 Novembre 2011, ha espresso “con autorità” questa volontà della Chiesa che è maturata, attraverso varie fasi, negli ultimi sei anni circa. Perché è andato in Benin? È solo un piccolo Stato dell’Africa Occidentale, circa 10 milioni di persone ed un terzo della superficie dell’Italia. Ma è un importante ‘pulpito’ per la situazione religiosa: il 50% segue la religione tradizionale con elementi cristiani, a formare un equilibrio non armonico (sincretismo); il 30% è cattolico ed attivo ed il 20% musulmano. Il Papa, inoltre, ha voluto mettere in evidenza l’opera ecclesiale svolta dal defunto cardinale Bernardin Gantin, una delle eminenti personalità dell’Africa intera. Mi piace ricordare, a questo proposito, il suo pellegrinaggio a Pompei agli inizi degli anni ‘90 per la celebrazione della Supplica. La sua profonda pietà mariana impressionò ed entusiasmò tutti.  

Le tre parole-chiave: Riconciliazione, Giustizia, Pace.

Il secondo Sinodo dell’Africa, non solo per il continente ma per il mondo intero, ha voluto darsi un sostanzioso programma di lavoro pastorale – di cui ha veramente bisogno –  anche al fine di chiamare a raccolta tutti gli altri continenti. E’ necessaria la collaborazione di tutti – soprattutto in quest’epoca di globalizzazione – se si vuole offrire al mondo un essenziale e duraturo dono della pace. Ma come?

I popoli, inclusi quelli dell’Africa, hanno sempre avuto delle previsioni socio-giuridiche di come riconciliarsi. Ma la mancanza o la trascuratezza di sentimenti religiosi, cristiani, può far crollare l’impalcatura culturale e sociale, trovando scuse per non avviare tale processo o giustificare la rinunzia alla riconciliazione. Ogni valida riconciliazione, infatti, deve avere per base la Giustizia e la Verità, più che politica religiosa. Il consolidato principio d’impunità in favore delle autorità e di alcuni privilegiati, considerandosi al di sopra della legge, non permette spesso la supremazia dei due elementi-base. La gente, per ottenerli, deve ricorrere spesso alla violenza, con spargimento di sangue. In Kenya, dopo la guerriglia civile del Gennaio 2008, corse voce che un’assoluzione generale sarebbe stato un bene per la Nazione. Dimenticando che, per il trionfo della Giustizia e Verità, è essenziale conoscere i  nomi degli artefici a tutti i livelli e le motivazioni di fondo. Solo allora, la Pace diventa il frutto naturale di questo lavoro in profondità in campo sociale, umanitario e religioso. Ovviamente nessuna religione può essere in favore della guerra e del disordine civile, ma tutte insieme dovrebbero collaborare al ristabilimento della pace permanente.

L’Evangelista Matteo, nello spirito delle Beatitudini, avverte : “Se, nel portare il tuo dono all’altare, ti accorgi che un tuo fratello ha qualcosa contro di te: lascia il tuo dono all’altare, poi vai a riconciliarti con lui e, solo dopo, vieni a portare la tua offerta all’altare (5: 23.24)”. È palese la differenza tra la cultura umana e quella cristiana! È il nuovo spirito evangelico che dovrebbe guidare nella soluzione delle problematiche umane. Se Matteo dice di prendere l’iniziativa di riconciliarci – si badi bene, con colui che ci ha offesi - prima di fare l’offerta è perché Gesù Redentore ha fatto esattamente così. Noi eravamo gli offensori ed Egli ha preso l’iniziativa di ricostruire ‘il ponte’ tra noi ed il Padre.

Quale strada percorrere ?

Il Documento finale del Sinodo, presentato dal Papa nel Benin, suggerisce alcuni mezzi – tradizionali ma efficaci – che preparano il cristiano ad entrare nell’imitazione di Cristo. Lo spazio permette solo un magro elenco, nella speranza di sollecitarne l’approfondimento attraverso la lettura di tutto il testo (è possibile cercarlo come “Sinodo Africano. Africae Munus” o scaricarlo dal sito del Vaticano www.vatican.va/ Benin 2011).

Ispirandosi alla vita pubblica di Gesù Salvatore e Maestro, ogni persona è invitata ad una profonda conversione ed una vitalità esemplare attingendo dalla Parola e dai Sacramenti, doni insostituibili ed efficaci lasciatici dal Signore. Come membro della comunità e nelle diverse vocazioni, personale e pubblica, ognuno contribuirà a far emergere la stessa ricchezza a livello ecclesiale. Il concreto e realistico programma, discusso e tracciato dai Vescovi durante il Sinodo, viene ora fatto proprio dal Papa ed affidato alla Chiesa d’Africa perché lo realizzi e lo presenti alla Chiesa intera. È da augurarsi che tale processo sia, quanto prima, una delle testimonianze del Cristianesimo per il mondo intero, grazie all’impegno dei Cattolici Africani in questo momento. 

Il Cardinale africano della Guinea, Roberto Sarah, nel presentare la visita del Papa ed il Documento, ha ripetuto, con l’ottimismo di Benedetto XVI che la fedeltà all’impegnativo Compito Sinodale  farebbe dell’Africa il polmone spirituale dell’umanità.

Pietro Caggiano